venerdì 2 agosto 2019

Io non sono mafioso
di Francesco Li Pira

La prima volta che udii la parola mafia andavo alle elementari; ma ciò non avvenne durante una lezione delle maestre toscane progressiste della scuola che frequentavo; io infatti la scuola primaria l’ho fatta in Toscana, in provincia però, in mezzo ai cinghiali e alle volpi, dove un giorno, durante una lite con i miei compagni di classe, fui chiamato “mafioso”. Quei cinici “bastardelli” così mi definirono: “mafioso” e aggiunsero “tutti i siciliani sono mafiosi!”. E ad ogni occasione buona, il ritornello era sempre lo stesso:“mafioso” e ancora: “tutti i siciliani sono mafiosi!”, e qualunque espressione io usassi per rispondere al loro insulto, non gli si incollava addosso come lo faceva con me quella unica maledetta parola che usavano loro. 
Ma a casa, mio padre e mia madre, mai mi avevano parlato di mafia, mai mi avevano spiegato cos'era questo tratto distintivo che ci connotava rispetto agli altri, se era un fatto di sangue (genetico) o di mentalità, oppure tutti noi discendevamo da un'antica razza di malfattori cresciuti ed evolutisi nella solitudine di un'isola circondata dal mare? 
Anche io allora mi guardavo allo specchio decine di volte al giorno, cercando di capire quale fosse la fisionomia di un mafioso, e nel mio profilo cercavo di scorgere un segno, una forma distintiva: le orecchie a volte mi sembravano deformi, e gli occhi sproporzionati al resto del viso… e di notte poi, tornava sempre lo stesso incubo: solo su un’isola deserta, naufrago senza memoria, scavavo nella sabbia un tunnel profondissimo, finché l’oceano non invadeva il cunicolo, sprofondandomi nel suo abisso… 
Stanco di tutto questo, un giorno dopo la scuola e l'ennesima lite con i compagni, chiesi a mio padre se poteva spiegarmi il significato di quella parola disgraziata. Lui, mi guardò un po’ stupito e mi chiese: “Dove l’hai sentita? Ve ne hanno parlato a scuola?”; gli risposi che l’avevo sentita in tv e che m’incuriosiva conoscerne il senso dato che eravamo siciliani. 

Allora mi prese per mano e mi portò vicino alla sua scrivania, e guardandomi negli occhi mi disse:

adesso ti elenco delle parole che da giovane, cercando di capire, raccolsi su un “pizzino”, quasi che questo mi aiutasse a rivelarmene il significato!

e cominciò:

degenerato, contaminato, fradicio, marcio, abietto, corrotto, degradato, spregevole, ignobile, osceno, impuro, indecente, immorale, oscuro, ambiguo, disonesto, fraudolento, illegale, abusivo, delittuoso, scellerato, criminoso, malvagio, crudele, brigante, feroce, infame, diabolico, predone, maligno, bandito, empio, assassino, blasfemo, perfido, disumano, spietato, massacratore, fuorilegge, sfruttatore e parassita; vedi quanti significati ha la parola “mafioso”, li contiene tutti e tantissimi altri, ma l'ultimo della lista, è quello il più appropriato, figlio mio!” 
mentre quelle parole che mi stordivano…mi chiese: 

Hai capito adesso cos'è la mafia? Cosa significa mafioso?”; io lo guardai inebetito, perché nella mia mente stava prendendo forma un essere mostruoso talmente indefinibile che mi travolgeva e opprimeva, ma non riuscivo ad associare me stesso a quella creatura così innominabile…era possibile che in me si nascondesse un tale abominio? Un tale obbrobrio? 

Che questo organismo immondo, prima o poi si sarebbe manifestato in me? 

“La mafia è un’associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato». 
E’ la definizione di Sciascia che lessi qualche tempo dopo al liceo… 
E intanto c’erano stati però: Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, le stragi della Circonvallazione, di via Carini, di via Pipitone Federico, Giuseppe Fava, Ninni Cassarà, Claudio Domino, Rosario Livatino, Libero Grassi; e poi ancora: le stragi di Capaci e via D’Amelio,Don Pino Puglisi, Giuseppe Di Matteo… 

e tanti altri come loro che non si erano “mafizzati”, che avevano tenuto la schiena dritta, che avevano cercato di contrastare la diffusione del “male” pagando con la loro vita.

Ecco allora che oggi, voglio dire una cosa che può sembrare banale ma che è per me importantissima:


“Grazie Papà, grazie che non mi hai insegnato che la mafia non esiste, o che siamo tutti mafiosi; grazie che mi hai indicato da subito la strada da seguire e a riconoscere e dirimere il bene dal male; e grazie soprattutto per avermi fatto comprendere che io, si io, non sono mafioso!”.